Tibet 2011

Il Wild West Sichuan è una terra strana. Così come sono strani i suoi abitanti. Se non fosse per la lingua che parlano e  per le
scritte lungo le strade sembrerebbe di essere in Texas cinquant’anni fa. Uomini che girano a cavallo con stivali e cappelli da
vaccaro, con look improbabili pieni di collane, orecchini e occhiali, che definire pacchiani è un eufemismo. La grossa differenza
è che siamo ad oltre 4000 metri e intorno invece delle vacche ci sono gli yak, al posto delle chiese ci sono antichi templi
buddisti e invece dei preti decine di monaci dalle tuniche cremisi.
Ovunque ci sono poliziotti cinesi ben visibili e molto armati. La zona era chiusa fino a pochi giorni fa, non si capisce perché,
i motivi che abbiamo sentito sono vari e generalmente incomprensibili. Anzi non si capisce se l’altopiano tibetano è ancora
realmente chiuso agli stranieri. Da dentro è difficile capirlo. Solo collegandosi ai pochi siti internet che la lunga mano del
partito non ha oscurato, si ha un pallida idea della situazione. Le voci che girano tra i pochissimi viaggiatori sono inaffidabili.
C’è chi parla di centinaia di monaci uccisi nel monastero che abbiamo davanti a noi. Ci sembra molto improbabile vista la serenità
dei monaci che incontriamo. I tibetani nonostante l’oppressione cinese sono sereni e sorridono. Sono anche curiosissimi e spesso
si incantano a guardare i due stranieri, alti e pallidi. Si incantano per ore senza nessun pudore a fissarti da mezzo metro.
Come dei bambini allo Zoo che guardano un animale strano, ma quando si riesce a trovare un contatto, con le poche parole del nostro
piccolo vocabolario, i tibetani si aprono e dimostrano un carattere aperto e ospitale. Specialmente i nomadi che ci hanno ospitato
nelle loro tende durante la traversata dell’oceano di fiori. Una valle incantata piena di stelle alpine. Un posto magico che per
loro era semplicemente la loro casa estiva e il pascolo per i loro yak.
Tutte le volte che incontro dei nomadi ho l’impressione che il nomadismo dia la felicità. E’ stato lo stesso in Mongolia.
La vita, specie nei mesi invernali è durissima ma i nomadi hanno sempre il sorriso sulla loro faccia bruciata dal sole
dell’altipiano. Sono sempre pronti a fermarsi a fare due chiacchiere e i bambini giocano liberi. Sono completamente liberi fin
dalla nascita e forse è proprio la libertà che li rende felici. Una libertà che i cinesi in modo subdolo vogliono toglierli,
costruendogli case fisse che sembrano villette a schiera dell’hinterland milanese. Forse è proprio questa la libertà che stanno
perdendo. Quella di poter vagare liberi in una terra senza steccati.